Diffamazione sul posto di lavoro: esempi pratici e conseguenze legali
- Avv. Giulio Cristofori
- 29 set
- Tempo di lettura: 7 min
La diffamazione sul posto di lavoro è un problema sempre più frequente. Una frase offensiva scritta in un gruppo WhatsApp aziendale, un’email inviata con altri in copia o un commento negativo rivolto a un collega davanti ad altri: sono tutte situazioni che possono danneggiare la reputazione professionale e integrare gli estremi del reato previsto dall’art. 595 c.p.
Io sono l’Avv. Giulio Cristofori, da oltre 10 anni specializzato in materia di diritto penale d’Impresa. In questo articolo vedremo cosa si intende per diffamazione lavorativa, quali sono gli esempi più comuni, come si è espressa la Cassazione e quali strumenti ha a disposizione chi subisce questo tipo di condotta.
Indice dei contenuti
Che cos’è la diffamazione sul posto di lavoro
La diffamazione è un reato previsto dall’art. 595 del Codice Penale. In pratica, si verifica quando qualcuno offende la reputazione di un’altra persona comunicando con più persone (nel nostro caso, per esempio in chat, gruppi, mail con copia, davanti ad altri colleghi), e l’offesa non è rivolta direttamente alla vittima in sua presenza.
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [2699], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate.”
Diffamazione vs ingiuria: cosa cambia
Ingiuria: è un’offesa diretta, pronunciata o scritta davanti alla persona interessata. Oggi ha rilievo soprattutto sul piano civile e può portare a una richiesta di risarcimento;
Diffamazione: si ha quando l’offesa viene fatta alle spalle della persona offesa, quindi in sua assenza, ma resa nota a più persone (colleghi, superiori, gruppi chat, email condivise). In questo caso la tutela prevista dalla legge è più severa.
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Presenza della persona offesa: il principio chiave secondo la Cassazione
Questo aspetto (se la persona offesa era presente o meno) è fondamentale. La Cassazione ha ripetutamente chiarito che:
Se si scrive o si dice qualcosa insultante in chat o gruppi, con altri membri che partecipano, e la vittima non è presente virtualmente in quel momento, allora può esserci diffamazione.
Esempio: messaggi WhatsApp in gruppo a cui partecipano altre persone ma non la vittima, oppure email inviata ad altri con la vittima solo informata dopo, sono situazioni che possono integrare diffamazione.
Nella sentenza della Cassazione n. 10905/2020, si è precisato che sono diffamazione anche gli insulti pronunciati in una chat vocale con altri partecipanti, e che se la persona offesa non è in grado di intervenire o reagire immediatamente, ciò rafforza il fatto che non si tratta solo di ingiuria.
La Cassazione, Sez. I Penale, n. 42783 del 21 novembre 2024 (depositata il 21/11/2024) si è espressa sul tema delle chat WhatsApp e altri mezzi digitali, chiarendo quando si applica l’aggravante del “mezzo di pubblicità” previsto dall’art. 595 comma 3 c.p. in contesti in cui l’offesa è diffusa tramite mezzi che raggiungono più destinatari.
Esempi concreti di diffamazione sul posto di lavoro
La diffamazione in azienda si manifesta spesso in episodi quotidiani, a volte sottovalutati. Questi sono i casi più frequenti:
Chat e gruppi WhatsApp aziendali
Un commento offensivo o un’accusa falsa scritta in un gruppo WhatsApp di lavoro può costituire diffamazione se la persona interessata non è presente e il messaggio viene letto da altri colleghi.
Email con altri in copia (CC)
Un’email contenente frasi denigratorie inviata a un collega e messa in copia a più persone non resta una comunicazione privata: diventa pubblica e incide sulla reputazione della persona coinvolta.
Conversazioni tra datore e dipendenti
Se un datore di lavoro parla male di un dipendente davanti ad altri collaboratori, oppure un collega critica pesantemente un altro alle spalle, siamo di fronte a una tipica ipotesi di diffamazione.
Piattaforme digitali e social aziendali
Commenti offensivi lasciati su canali aziendali interni (come Teams o Slack) o anche sui social network, se visibili a più persone, possono avere lo stesso effetto di un insulto scritto in pubblico.
In tutti questi casi l’elemento comune è uno: l’offesa non viene fatta direttamente alla persona interessata, ma alle sue spalle e in un contesto in cui altri possono leggerla o ascoltarla, con conseguenze dannose sulla sua immagine e credibilità professionale.

Conseguenze legali della diffamazione sul posto di lavoro
Essere diffamati sul lavoro non significa solo subire un danno personale. Infatti, la legge prevede conseguenze concrete che si possono distinguere su tre piani: penale, civile e lavorativo.
Conseguenze penali
La diffamazione è un reato previsto dal Codice Penale. Chi offende un collega o un dipendente in sua assenza, davanti ad altre persone, rischia una condanna che può portare:
a una multa;
in casi più gravi, alla reclusione (ad esempio se l’offesa avviene con mezzi di ampia diffusione come email di gruppo o social).
Conseguenze civili
Accanto al profilo penale, la vittima può chiedere un risarcimento danni in sede civile. Si tratta non solo di un risarcimento economico, ma di un riconoscimento formale del pregiudizio subito.
Il danno alla reputazione e all’immagine professionale può essere quantificato anche in base alla diffusione dell’offesa e alle ripercussioni sulla vita lavorativa.
Conseguenze lavorative
In azienda, episodi di diffamazione possono avere effetti diretti anche sul rapporto di lavoro:
per chi subisce la diffamazione: isolamento, perdita di credibilità, ostacoli nella carriera;
per chi la commette: sanzioni disciplinari, fino al licenziamento nei casi più gravi;
per l’azienda: un clima lavorativo deteriorato e possibili ricadute legali.
Cosa fare se si è vittima di diffamazione sul posto di lavoro
Subire diffamazione in ufficio o in azienda è un’esperienza difficile: non solo ferisce sul piano personale, ma può compromettere la credibilità professionale e i rapporti con colleghi e superiori. Per questo è importante sapere come muoversi subito e nel modo giusto.
1. Raccogliere e conservare le prove
La prima cosa da fare è documentare i fatti:
salvare screenshot di chat o gruppi WhatsApp;
archiviare email offensive, soprattutto se inviate con altri in copia;
annotare circostanze e testimoni presenti a conversazioni lesive.
Più le prove sono chiare e complete, più sarà semplice dimostrare la diffamazione.
2. Valutare la gravità del caso
Non tutte le situazioni hanno lo stesso peso. Una battuta di cattivo gusto non equivale a un’accusa falsa che danneggia la reputazione professionale. È importante distinguere tra episodi isolati e comportamenti che creano un clima ostile o discriminatorio.
3. Rivolgersi a un avvocato penalista
Un professionista può valutare il caso e indicare la strada migliore:
querela: va presentata entro tre mesi dall’episodio (nella maggior parte dei casi);
azione civile: per ottenere un risarcimento del danno alla reputazione e all’immagine;
valutare eventuali profili disciplinari: se la diffamazione avviene tra colleghi o da parte del datore.
4. Non sottovalutare l’impatto sul lavoro
Agire subito non serve solo a difendere la propria dignità personale, ma anche a tutelare la posizione professionale. Lasciar correre può favorire il diffondersi di voci dannose e rendere più difficile ricostruire la propria immagine in azienda.
La tutela del lavoratore e dell’azienda
La diffamazione in ambito lavorativo non coinvolge soltanto la persona che la subisce o quella che la commette, ma ha ripercussioni anche sull’azienda, che ha il dovere di garantire un clima professionale corretto e rispettoso.
Dal lato del lavoratore, la legge offre diversi strumenti di protezione. Chi è vittima di offese o accuse false può innanzitutto segnalare l’accaduto all’interno della struttura aziendale, rivolgendosi alle risorse umane o ai propri superiori. Ma soprattutto può ricorrere alla tutela giudiziaria, presentando querela e chiedendo un risarcimento per il danno subito. Questo non ha solo un valore economico, ma serve anche a ristabilire la propria credibilità davanti ai colleghi e a ricostruire l’immagine professionale compromessa.
Dal lato dell’azienda, invece, è fondamentale non sottovalutare episodi di diffamazione tra dipendenti. Ignorarli significa rischiare di minare la serenità dell’ambiente di lavoro e, di conseguenza, la produttività. Per questo il datore di lavoro può adottare provvedimenti disciplinari proporzionati alla gravità del fatto, che vanno dal semplice richiamo fino al licenziamento nei casi più seri. Allo stesso tempo, ha l’obbligo di vigilare affinché non si creino contesti tossici che danneggiano la reputazione dell’impresa stessa.
In definitiva, la tutela del lavoratore e quella dell’azienda sono strettamente collegate: entrambi hanno interesse a contrastare la diffamazione, il primo per difendere la propria dignità personale e professionale, la seconda per preservare un ambiente di lavoro sano e rispettoso.
Perché non sottovalutare la diffamazione sul lavoro
La diffamazione sul posto di lavoro non è una semplice incomprensione tra colleghi: può incidere sulla serenità personale, sull’immagine professionale e, in alcuni casi, compromettere persino la carriera. Le forme con cui si manifesta (dai gruppi WhatsApp alle email aziendali, fino alle conversazioni indirette) sono sempre più frequenti e non devono essere sottovalutate.
Conoscere la differenza tra ingiuria e diffamazione, sapere quali sono le conseguenze previste dalla legge e come raccogliere correttamente le prove è il primo passo per proteggersi. Un confronto con un professionista del diritto permette di valutare serenamente le opzioni disponibili e scegliere la strada più adeguata al proprio caso.
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Domande frequenti
Qual è il risarcimento per diffamazione sul lavoro?
Il risarcimento varia in base alla gravità dell’offesa e alla sua diffusione: può includere danni economici, morali e all’immagine professionale, stabiliti dal giudice caso per caso.
Cosa si rischia per diffamazione sul lavoro?
Chi diffama un collega rischia una multa o la reclusione (art. 595 c.p.), oltre a possibili sanzioni disciplinari in azienda, fino al licenziamento nei casi più gravi.