Denuncia per messaggi Whatsapp: insistere dopo il “no” è reato di molestia
- Avv. Giulio Cristofori

- 13 nov
- Tempo di lettura: 4 min
Ricevere messaggi continui su Whatsapp, anche dopo aver chiesto di smettere, può diventare un vero tormento. Molti pensano che si tratti solo di fastidio, ma in realtà, in certe situazioni possiamo parlare di denuncia per messaggi Whatsapp, un tema sempre più attuale nell’epoca delle comunicazioni digitali.
Quando le notifiche non smettono di arrivare, quando la chat diventa un canale di pressione o di disagio, la legge interviene per proteggere la serenità di chi subisce. A volte basta l’insistenza, soprattutto dopo un “no” chiaro della persona destinataria dei messaggi, per trasformare un gesto apparentemente innocuo in un reato di molestia.
Io sono l’Avv. Penalista Giulio Cristofori e in questo articolo vediamo quando i messaggi su Whatsapp integrano la fattispecie del reato di molestia, cosa ha detto recentemente la Corte di Cassazione e come presentare una denuncia se ti trovi in questa situazione.
Indice dei contenuti
Quando i messaggi su Whatsapp diventano reato
Per superare il limite della legalità non serve arrivare a insulti o minacce. A volte, ciò che trasforma una semplice chat in un comportamento penalmente rilevante è l’insistenza, come scrivere di continuo, senza ricevere risposta, dopo che l’altra persona ha espresso chiaramente di non voler più comunicare.
Secondo l’art. 660 del Codice Penale, commette reato di molestia o disturbo alle persone chi, per petulanza o per altro motivo ingiusto, disturba qualcuno nella sua tranquillità. Nel dettaglio:
«Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito, a querela della persona offesa, con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516.
Si procede tuttavia d'ufficio quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.»
Un principio che vale anche per le comunicazioni digitali
Oggi questo principio vale anche per le comunicazioni digitali: un messaggio, un vocale o una chiamata su Whatsapp possono integrare la condotta di molestia se diventano ripetuti, invadenti o sgraditi.
La Cassazione lo ha ribadito in modo chiaro con la sentenza n. 32770/2025, che afferma che se la frequenza dei messaggi è tale da interferire con la vita privata e la serenità della persona offesa, si integra reato di molestia. Non importa quindi se i messaggi non contengono parole offensive o minacciose (e quindi il contenuto), ma conta l’effetto che producono.
In altre parole, non è necessario che chi scrive “voglia fare del male”, basta che non rispetti il confine dell’altro. Il diritto a “non ricevere messaggi” è parte integrante del diritto alla quiete personale, e non può essere ignorato con la scusa che “bastava bloccare il numero”.
La Corte ha infatti precisato che la possibilità di bloccare il mittente non elimina la responsabilità penale: non è la vittima che deve difendersi, ma chi scrive che deve fermarsi. Si tratta di un cambio di prospettiva importante, che mette al centro la libertà e la dignità della persona molestata, anche nel mondo digitale.
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Sentenza n. 32770/2025: cosa dice la Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 32770/2025, la Corte di Cassazione ha tracciato un confine netto tra comunicazione e molestia. I giudici hanno stabilito che anche un numero limitato di messaggi può essere sufficiente per integrare il reato di molestia, se l’altro ha espresso la volontà di interrompere i contatti e quella richiesta non viene rispettata.
La vicenda riguardava un ex partner che, dopo la fine della relazione, aveva continuato a scrivere su Whatsapp nonostante il rifiuto della controparte. Nessuna offesa o minaccia, solo messaggi insistenti, inviati più volte al giorno. Per la Cassazione sono elementi sufficienti per parlare di molestia.
Il punto centrale della decisione è stato questo: “Il reato si configura anche quando la persona molestata avrebbe potuto bloccare il mittente.”
In altre parole, non è la vittima che deve difendersi, ma chi scrive che deve fermarsi. La possibilità di “bloccare” non sposta la responsabilità, poiché è l’autore del comportamento a dover rispettare il silenzio e la libertà dell’altro.
La Corte ha anche spiegato che il danno non è legato solo al contenuto del messaggio, ma al suo effetto: l’ansia, l’invasione costante della quotidianità, la perdita di serenità. Il telefono, con le sue notifiche e vibrazioni, è ormai parte della nostra vita privata. Usarlo per comunicazioni non desiderate significa entrare (senza alcun permesso) nello spazio personale di qualcuno.
Questo principio segna un vero cambio di paradigma, perché la legge non si limita più a punire l’aggressività o la minaccia, ma anche la mancanza di rispetto per il “no” altrui.
Conseguenze legali
L’art. 660 c.p. punisce chi disturba un’altra persona con comportamenti petulanti o ingiustificati, prevedendo l’arresto fino a 6 mesi o un’ammenda fino a 516€.
In situazioni più gravi, quando i messaggi provocano ansia, paura o un cambiamento nelle abitudini di vita, la condotta può trasformarsi in stalking (art. 612-bis c.p.), punito con pene molto più severe.
La differenza tra le due fattispecie di reato è proprio nelle conseguenze:
molestia: se i messaggi sono solo fastidiosi;
stalking: se generano uno stato di disagio profondo o paura.
In entrambi i casi, la legge tutela la libertà e la serenità della persona offesa.
Come sporgere denuncia per messaggi Whatsapp
La denuncia può essere presentata ai Carabinieri, alla Polizia o in Procura, descrivendo con precisione ciò che accade e allegando eventuali screenshot, chat o registrazioni.
In questi casi, un avvocato penalista ti aiuta a valutare la gravità dei fatti, a preparare la denuncia in modo completo e a gestire il rapporto con le autorità senza ulteriori stress.
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