top of page

Bitcoin truffe: posso recuperare i soldi che ho perso?

Chi è rimasto vittima delle cosiddette bitcoin truffe si trova spesso davanti a un interrogativo cruciale: è possibile recuperare le somme perse?


Contrariamente a quanto si crede, in molti casi la risposta è affermativa. Nonostante la natura digitale e decentralizzata delle criptovalute, il sistema giuridico italiano prevede strumenti che consentono di agire in sede penale e civile per ottenere il sequestro preventivo dei beni e, nei casi in cui vengano identificati i responsabili, la restituzione delle somme sottratte.


Io sono l’Avv. Giulio Cristofori, da oltre 10 anni specializzato in materia di diritto penale d’Impresa. In questo articolo voglio darti una panoramica chiara e aggiornata delle azioni legali concretamente esperibili in caso di frodi in ambito crypto: dalla denuncia presso l’autorità giudiziaria, alla raccolta delle prove, fino alle misure cautelari a tutela del patrimonio leso. 


Seguimi anche sui social per altre notizie come questa!



Indice dei contenuti



La giurisprudenza italiana in tema di truffe in bitcoin e criptovalute

Negli ultimi anni, anche i Tribunali italiani hanno iniziato ad affrontare casi legati a truffe e utilizzi illeciti delle criptovalute. Alcune sentenze importanti ci aiutano a capire in quali circostanze è possibile ottenere il recupero delle somme perse, e quali siano i principali limiti o criticità riscontrate nei procedimenti.



Le criptovalute possono essere considerate strumenti finanziari

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 44378/2022), quando una persona viene indotta a investire in criptovalute con la promessa di un guadagno certo, quel tipo di investimento può essere equiparato a un vero e proprio prodotto finanziario.


Questo è un passaggio importante, perché offre maggiori tutele alla vittima, che può così far valere diritti simili a quelli previsti per i risparmiatori truffati da promotori finanziari o da società non autorizzate.



Il sequestro dei fondi è possibile, ma richiede condizioni precise

In diversi casi, le autorità italiane hanno disposto il sequestro dei wallet (i portafogli digitali dove sono custodite le criptovalute), per bloccare le somme ottenute con la truffa e tentare di restituirle alle vittime. Tuttavia, una recente sentenza della Cassazione (n. 1760/2025) ha stabilito che il sequestro non può essere disposto automaticamente: deve essere spiegato nel dettaglio perché si ritiene che quei fondi derivino da un reato e siano ancora nella disponibilità dell’indagato.


In altre parole, il sequestro è possibile, ma deve essere richiesto e motivato in modo preciso, dimostrando un collegamento chiaro tra le somme sottratte e il wallet utilizzato.




Criptovalute e fisco: cosa dice la Cassazione

Sempre la Cassazione ha chiarito che le criptovalute, non essendo moneta avente corso legale, non possono essere trattate come denaro tradizionale in ambito fiscale. Per esempio, non possono essere sequestrate “per equivalente” (cioè al posto di soldi o beni) senza una giustificazione chiara. 


Questo principio vale soprattutto nei procedimenti per reati tributari, e dimostra quanto sia ancora delicato e in evoluzione il rapporto tra fisco e criptovalute.


Tuttavia, dobbiamo ricordare che hanno comunque un valore economico rilevante e che la normativa fiscale italiana (es. quadro RW, tassazione capital gain) impone obblighi specifici. 



Le truffe in Bitcoin sono reati a tutti gli effetti

Sul piano penale, le truffe legate alle criptovalute vengono in genere inquadrate come truffa aggravata (art. 640 del codice penale), ma nei casi più complessi possono rientrare anche nei reati di frode informatica, accesso abusivo a sistemi informatici o persino riciclaggio, quando l’obiettivo è nascondere l’origine illecita dei fondi.


Questo significa che, per la legge italiana, si tratta a tutti gli effetti di reati gravi, e che chi li subisce ha diritto di agire per chiedere la restituzione delle somme e, se possibile, ottenere il sequestro dei fondi coinvolti.


consulenza legale per bitcoin truffe e criptovalute

È possibile recuperare i soldi persi in una truffa in Bitcoin?

Il recupero delle somme perse a causa di una truffa in criptovalute è possibile, ma dipende da alcuni fattori determinanti:


  • la tracciabilità dei fondi;

  • l’identificazione dei soggetti responsabili;

  • e la tempestività con cui si agisce.


Sebbene il Bitcoin sia una moneta digitale decentralizzata, tutte le transazioni vengono registrate su un registro pubblico (blockchain), il che rende tecnicamente possibile ricostruire i movimenti e, in certi casi, risalire ai wallet coinvolti. 


Inoltre, nel nostro ordinamento è possibile agire sia in sede penale, mediante denuncia-querela, sia in sede cautelare, attraverso richieste di sequestro o blocco dei beni del soggetto indagato.


In particolare, le Procure italiane stanno affrontando un numero crescente di procedimenti legati a frodi in ambito crypto e in diverse occasioni è stato disposto il sequestro preventivo di criptovalute detenute su wallet riconducibili agli autori del reato, anche con la collaborazione di autorità estere e piattaforme exchange.


Tuttavia, il successo di queste azioni dipende dalla concretezza delle prove fornite, dalla collaborazione delle piattaforme coinvolte, e dall’effettiva rintracciabilità dei fondi o dei beneficiari. In mancanza di questi elementi, il recupero risulta più complesso, anche sotto il profilo procedurale.



Cosa fare concretamente per avviare un’azione di recupero

Chi ritiene di essere stato vittima di una truffa in criptovalute può, e in molti casi deve, attivarsi senza ritardi per tutelare i propri interessi patrimoniali. Sebbene la natura digitale dei fondi coinvolti e la complessità delle operazioni possano far pensare a una tutela difficile o impraticabile, esiste un percorso giuridico preciso che consente (in presenza dei presupposti) di avviare una richiesta di recupero.



1. Raccogliere tutta la documentazione utile

Il primo passaggio fondamentale è la raccolta e conservazione delle prove informatiche e documentali. A titolo esemplificativo:


  • schermate delle transazioni effettuate (wallet, hash, ID transazioni);

  • corrispondenza intercorsa con i soggetti che hanno promosso l’investimento (email, chat, telefonate, messaggi);

  • dati bancari relativi a eventuali bonifici o versamenti;

  • link o riferimenti della piattaforma online utilizzata.


Questo materiale sarà essenziale per dimostrare l’esistenza della truffa, l’ammontare delle somme versate e, ove possibile, l’identità o la responsabilità degli autori.



2. Sporgere denuncia-querela presso l’autorità giudiziaria

La denuncia-querela è il presupposto necessario per l’attivazione del procedimento penale. Deve essere presentata presso la Procura della Repubblica o presso le autorità di polizia giudiziaria (es. Polizia Postale), allegando tutta la documentazione raccolta.


Una denuncia incompleta o genericamente formulata può pregiudicare l’attivazione di misure cautelari, come il sequestro dei fondi, o il corretto inquadramento giuridico della vicenda.



3. Richiedere il sequestro preventivo dei fondi

In presenza di elementi sufficienti a dimostrare il nesso tra le somme versate e la condotta fraudolenta, è possibile (tramite l’autorità inquirente) richiedere il sequestro preventivo delle criptovalute, dei wallet digitali o di altri beni riconducibili all’autore del reato. 


In alcuni casi, il sequestro può essere esteso a beni “per equivalente”, se i fondi originali non sono più disponibili.


L’efficacia di questo strumento dipende in larga parte dalla tempestività dell’azione



4. Affidarsi a un professionista esperto in diritto penale e reati economici

Considerata la specificità tecnica e giuridica delle truffe legate alle criptovalute, è fortemente consigliato affidarsi a un avvocato penalista con esperienza in materia. Solo un professionista competente è in grado di:


  • valutare correttamente la fattibilità dell’azione;

  • redigere una denuncia completa ed efficace;

  • interfacciarsi con le autorità inquirenti;

  • sollecitare, ove possibile, provvedimenti cautelari a tutela del patrimonio leso.


La gestione autonoma del procedimento o l’affidamento a soggetti non qualificati (ad esempio “agenzie” che promettono recuperi veloci) espone a gravi rischi, inclusa la possibilità di subire una seconda truffa.


consulenza legale per bitcoin truffe e criptovalute



Crypto e bitcoin truffe: domande frequenti 

È davvero possibile recuperare i soldi persi in una truffa su Bitcoin?

Sì, è possibile, ma non è garantito. Il recupero dipende da:

  • individuazione dell’autore del reato;

  • tracciabilità delle transazioni;

  • disponibilità di fondi o asset ancora rintracciabili.

Devo sporgere denuncia anche se non conosco l’autore della truffa?

Sì. La denuncia alla Polizia Postale o alla Procura è già utile. Anche senza dati certi, le indagini possono risalire a IP, wallet, bonifici o soggetti coinvolti. 

Entro quanto tempo devo denunciare la truffa?

In linea generale vige il termine di 3 mesi dalla scoperta dell’illecito. Agire tempestivamente aumenta le probabilità di sequestro preventivo o congelamento dei fondi.

Quali prove devo raccogliere per supportare la denuncia?

È fondamentale conservare:

  • screenshot e copie integrali delle transazioni;

  • corrispondenza con i truffatori (email, chat, messaggi);

  • estratti conto, ricevute, IBAN o hash di wallet.

Posso chiedere subito il sequestro preventivo dei miei Bitcoin?

Sì. Se ci sono elementi che dimostrano un nesso tra truffa e fondi trasferiti, è possibile richiedere il sequestro preventivo delle criptovalute o dei beni equivalenti.  

Posso richiedere il risarcimento economico?

Sì, oltre al sequestro preventivo, la vittima può costituirsi parte civile nel processo penale o agire con causa civile per ottenere un risarcimento per danni patrimoniali e morali. 

La mia banca o l’exchange ha responsabilità?

La banca esegue i bonifici richiesti dalla vittima: in linea generale non è responsabile, salvo casi in cui manchi la dovuta segnalazione di operazioni sospette. Gli exchange possono collaborare con le indagini, ma hanno obblighi solo se soggetti a normativa antiriciclaggio. 


Comments


bottom of page